dal punto
di vista occidentale, il Buddhismo è sia una religione che una filosofia, ma
anche
in India
religione e filosofia non si sono mai disgiunte: ogni modificazione
all'uno o all'altro genere sarebbe contraddittorio. Infatti
non c’è
religione di popoli dotti che non si avvalori secondo la ragione .
Infatti, scrive Dipalo, "il Buddhismo non è
una religione in senso stretto, in quanto priva dell'idea di un ‘dio-persona' e
quindi di una sua teologia; né si può semplicemente ricondurre all'ambito
razionale e dialettico che fa da sfondo alla più generale idea di filosofia, in
quanto latore di un concreto messaggio salvifico che implica un atteggiamento
spirituale ‘religioso' piuttosto che ‘laico'. In generale, da un punto di vista
storico-fenomenologico, potremmo definire il Buddhismo una forma orientale della
spiritualità umana. I suoi assunti fondamentali sono simili a quelli di molte
altre dottrine religiose e insegnamenti ‘mistici' sviluppatisi in ogni parte del
mondo e in ogni epoca storica.Il
Buddismo fu una soluzione alla interrogazione di come possa l’ uomo interrompere il corso
della vita che per la sua precarietà , è dolore , e quindi raggiungere la quiete
assoluta, l’ imperturbabilità ed in fine, il
NIRVANA
.In sanscrito si dice Nirvana, in lingua pali Nibbana .
Alla lettera esso significa il «superamento della barriera del dolore».In altre
parole, colui il quale ha raggiunto l’ ESTINZIONE completa e definitiva di tutte
le passioni,cioè il Nirvana, ha superato ogni forma di sofferenza. La via della
ESTINZIONE è la strada di chi ha oltrepassato la afflizione, la via che conduce
al venire meno della sofferenza.
In estrema sintesi :
Ø considerare l'esperienza dei
sensi relativamente non importante, ovvero percepire e riconoscere la natura
transitoria ed instabile di tutti i fenomeni sensoriali;
Ø tentare di rinunziare a ciò verso cui si sente attaccamento, ovvero assumere
un atteggiamento di sereno distacco nei confronti dei propri impulsi e desideri;
Ø proporsi di trattare tutti gli uomini allo stesso modo, ossia coltivare una
disinteressata equanimità nei confronti del prossimo, chiunque esso sia.
La religione chiamata dagli europei buddhismo ebbe origine in India, ai confini del Nepal e dell'Audh, nella seconda metà del VI sec. a.C. È accertato che il Buddha è un personaggio storico, benché la critica occidentale del XIX sec. ne abbia talvolta negato l'esistenza. La dottrina da lui predicata si diffuse in tutta l'India orientale estendendosi anche a ovest e a nord (forse fino a Taxila), anche se nulla venne fissato nella scrittura finché il Buddha fu vivo; la comunità buddhista non disponeva né di un canone né di una regola nel senso proprio della parola. Dopo il parinirvana del Buddha (480 [?] a.C.) si avvertì la necessità di raccogliere e unificare gli elementi delle sue dottrine riguardanti la disciplina (vinaya), i dogmi e la legge (dharma) e la metafisica (abhidharma); a questo scopo vennero indetti i concili di Rajagriha (477 [?] a.C.), Vaisali (377 o 367 a.C.) e Pataliputra (249 o 242 a.C.). A poco a poco in seno al buddhismo si costituirono diverse sette (sthavira, mahasamghika, sarvastivadin, ecc.) che diventarono sempre più numerose. La conversione dell'imperatore Asoka (250-249 [?] a.C.) diede nuovo impulso al buddhismo, dichiarato religione di Stato e favorito anche dalle missioni che si svilupparono sia all'interno sia all'esterno dell'Impero. Asoka diede il suo appoggio esplicito al Buddhismo, sicuramente dopo l'anno 264 a.c. quando presumibilmente iniziò, per motivi anche dinastici, la guerra di Kalinga . La guerra fu a tal punto sanguinosa da generare una svolta nella coscienza dell' imperatore che , si dice ,divenne un convinto ammiratore del Buddhismo sino a convertirsi alla non violenza ed a proclamare in proposito alcuni editti per la sua diffusione , anche presso gli alleati ellenici – Durante la fase del proselitismo, osservò pur tuttavia sempre la massima tolleranza nei confronti delle altre religioni. Tale fu la sua determinazione alla diffusione del Buddismo, che convocò nella capitale Pataliputra il terzo Concilio buddhista. - a questo periodo risale tra l'altro la conversione dell'isola di Ceylon (241 [?] a.C.). Le sette acquistarono caratteri che le differenziarono sempre più finché, verso l'inizio dell'era cristiana, si produsse uno scisma: nacque allora un buddhismo con caratteri modificati che, con il nome di "grande veicolo" (mahayana), si contrappose al buddhismo tradizionale chiamato "piccolo veicolo" o theravada o hinayana. Gli avvenimenti politici e, in particolare, la costituzione dell'impero dei Kushana a nord e a nord ovest , facilitarono l'espansione del buddhismo in Cina, attraverso l'Asia centrale. Sotto Kaniska (II sec.) pare sia stato tenuto un nuovo concilio nel Kashmir. Il buddhismo progredì raggiungendo il massimo della fioritura sotto la dinastia dei Gupta (secc. IV-VI), e in seguito gradualmente decadde a causa delle persecuzioni e soprattutto delle invasioni degli Unni, nel V sec. Sotto il regno di Harsa di Kanauj (VII sec.), il celebre pellegrino cinese Hsüan Tsang ne constatò la scomparsa in numerose regioni. Al declino del buddhismo contribuì il prevalere del tantrismo, dottrina che ne accentuava l'aspetto rituale, formalistico e magico, del brahmanesimo e soprattutto dell'islamismo, diffusosi in India in seguito alle invasioni musulmane (fine XII sec. - inizio XIII sec.). Nonostante ciò il buddhismo, nelle sue diverse forme, si propagò per tutta l'Asia ed è tuttora una delle tre religioni più importanti del mondo, con oltre 300 milioni di fedeli. Dogmi
I dogmi del buddhismo theravada sono tratti in gran parte dalla filosofia
brahmanica e in particolare dalla scuola samkhya di Kapila. Come già sosteneva
questa scuola, il buddhismo theravada, infatti, afferma l'eternità e
l'indistruttibilità della materia elementare, la quale, seguendo una legge
meccanica fatale che esclude l'intervento della volontà e delle potenze divine,
unisce e combina i suoi elementi in modo da produrre tutto quello che esiste
nell'universo. Secondo un ciclo eterno e immutabile, i mondi si formano, si
sviluppano, declinano e poi periscono per ricostituirsi di nuovo; a ciascuna di
queste fasi viene dato il nome di kalpa. Analoghe leggi regolano l'anima degli
esseri viventi, sottoposta a un processo di evoluzione che la porta, in
successive incarnazioni, dall'animale all'uomo e dall'uomo alla divinità
attraverso un alternarsi di ascese e di cadute, provocate dal prevalere delle
virtù e dei vizi. Solo quando riesce a distruggere in sé vizi e virtù l'anima
raggiunge lo stato che viene chiamato nirvana. Questo eterno rinascere
costituisce il tanto temuto male della trasmigrazione. Come rimedio il Buddha
proclamò il dogma detto delle "Quattro sante verità" (Arya-Satyani): l'esistenza
del dolore, la causa del dolore, la sua soppressione e la via da seguire per
sopprimerlo. Il dolore è parte indissolubile dell'esistenza; l'esistenza è
prodotta dall'ignoranza, causa delle passioni, dell'attaccamento ai beni
esteriori e dei desideri che, agendo per mezzo dei sensi, danno vita agli
esseri. La via da seguire è segnata da Quattro nobili sentieri: 1. la scienza,
che dimostra la vanità, il vuoto, l'instabilità, l'irrealtà del mondo esterno,
degli oggetti composti da elementi deteriorabili, dell'io, e la follia
dell'attaccamento a queste cose; 2. l'osservanza delle "Cinque interdizioni", di
uccidere, di rubare, di commettere adulterio, di mentire, di ubriacarsi; 3.
l'astinenza dai "Dieci peccati" di omicidio, furto, fornicazione, menzogna,
maldicenza, ingiuria, pettegolezzo, invidia, odio, errore dogmatico; 4. la
pratica delle "Sei virtù trascendentali", la carità, la moralità perfetta, la
pazienza, l'energia, la bontà, la carità o amore per il prossimo. Ogni essere è
responsabile dei propri atti e ne subisce fatalmente le conseguenze (karman). Il
saggio, come compenso delle proprie virtù, ottiene di rinascere, secondo i
propri meriti, come uomo di condizione superiore, come appartenente alla classe
dei geni del mondo della luce o a quella degli dei; se raggiunge la perfezione,
diventa bodhisattva e, infine, buddha. L'indifferente o il peccatore rinascerà
come uomo di condizione inferiore, come genio delle tenebre, demone, animale o
in uno dei diciotto inferni. L'inferno non è eterno; la severità e la durata
delle pene sono proporzionali al male commesso e, una volta terminata
l'espiazione, l'anima riprende, nella scala degli esseri, il posto che le è
destinato in considerazione degli atti meritori che può aver compiuto. Gli dei
godono di una potenza e di una felicità relative; sono semplici funzionari
preposti, per un periodo limitato, alla protezione dell'universo e sono ancora
soggetti alla legge della rinascita. Solo i buddha non devono più rinascere e
possono godere della perfetta beatitudine del nirvana. Il buddhismo del mahayana
ha una concezione molto diversa. In luogo dell'etica proposta dal theravada,
addita la via del sentimento e della speculazione. Queste due forme di buddhismo
sono rappresentate da scuole filosofiche che produssero, nel corso della storia
del buddhismo, un'abbondante letteratura.
Istituzioni
La comunità che si formò intorno al Buddha Sakyamuni era composta da fedeli
laici o zelatori (upasaka) e da monaci (bhiksu). Il laico deve venerare il
Buddha, la legge e la comunità, attenersi alle cinque regole fondamentali e
acquistare meriti facendo doni alle comunità, elemosine ai monaci e curando la
lettura dei testi sacri. Nel mahayana ai laici viene data maggiore importanza in
quanto l'ideale del bodhisattva è di ottenere la propria salvezza e quella degli
altri pur partecipando alla vita secolare. Secondo la tradizione theravada i
bhiksu, mendicanti erranti, sono candidati per eccellenza al titolo di santi (arhant)
e al raggiungimento del nirvana. A loro spetta, per diritto, il rispetto
assoluto dei fedeli laici; la loro appartenenza al clero non è perpetua. All'età
di otto anni sono ammessi al noviziato cui segue, a vent'anni, l'ordinazione,
concessa dopo un severo esame. Dopo l'ordinazione essi conducono vita
conventuale, sottoposti a una gerarchia che tiene conto dell'anzianità e dei
singoli meriti. Le mancanze commesse vengono punite con misure disciplinari e
con penitenze. Le donne, che il Buddha ammise con una certa riluttanza nella
comunità come religiose (bhiksuni), sono sottoposte alle medesime regole, ma
debbono rispetto al bhiksu, qualunque sia la loro età. Queste istituzioni nel
mahayana hanno importanza minore perché una funzione di rilievo viene
riconosciuta anche ai laici. Grande importanza ha invece la confessione.
Culto e monumenti
Sin dai primi tempi il buddhismo osservò particolari usanze religiose in omaggio
al Buddha, alla legge e alla comunità. Culto particolare venne tributato alle
reliquie e furono elevati monumenti (stupa) destinati ad accoglierle o a
commemorare avvenimenti della vita e dell'esistenza anteriore del Buddha. Il
culto delle immagini del Buddha, che sembra risalire a un'epoca posteriore,
venne tributato sotto la forma, ancora oggi in uso, di offerte di fiori, vesti,
ornamenti, musica, fatte alla statua del Maestro, e con munifiche elargizioni
alle fondazioni religiose, che raggiunsero infine un fasto completamente
estraneo all'austerità monacale degli inizi. Tali pompe si accompagnano a forme
rituali di scongiuro, di esorcismo o di invocazione di protezione, che sono di
origine prebuddhista o semplicemente popolare e che hanno dato origine a formule
magiche, amuleti, disegni, tatuaggi. Le espressioni di culto del mahayana sono
all'incirca le stesse del theravada: degno di nota è il grande sviluppo del
culto dei testi sacri, considerati mezzi di salvezza per se stessi, e la
conseguente fioritura di manoscritti illustrati e accuratamente compilati; il
culto tantrico moltiplicò queste credenze, introducendo rituali molto complessi
nei quali i disegni esoterici (mandala) e i diagrammi magici hanno grande
importanza.
Il buddhismo in Cina
Storia ed evoluzione. È appurato che i Cinesi non conobbero il Buddha prima
dell'era cristiana; non si sa tuttavia con esattezza quando la nuova religione
sia penetrata in Cina. Nel IIsec. d.C. essa si impose come una specie di
doppione del taoismo dal quale, quando i suoi testi furono tradotti in lingua
cinese, trasse gran parte della propria terminologia. L'elaborazione delle
tradizioni buddhiste nella lingua cinese deve essere considerata uno dei fatti
più rilevanti nella storia della cultura umana poiché permise a due civiltà
autonome, benché mai completamente isolate, di venire a contatto. L'influenza
del buddhismo in Cina fu tuttavia contenuta dalla diffusione del confucianesimo
e del taoismo. La Cina fornì un grosso contingente di monaci e monache e diede
numerosi contributi originali alla meditazione buddhista. La pietà buddhista per
il dolore che regna nel mondo sviluppò tra i Cinesi un nuovo senso della carità
umana (il bodhisattva Avalokitesvara divenne, in Cina, la dea Kuan-yin, patrona
di coloro che soffrono).
Nonostante le reazioni ostili (nel 444, nel 626 e soprattutto nell'845), il
culto indiano fu accettato e divenne parte integrante del patrimonio spirituale
cinese; fu sovente sostenuto dalle dinastie non strettamente indigene. Quando il
buddhismo disparve dall'India, continuò a sopravvivere in Cina associato ai
culti popolari, mentre nel Tibet e nella Mongolia fu conservato sotto la nuova
forma del lamaismo.
Le scuole buddhiste cinesi. Le diverse forme di buddhismo cinese non
corrispondono esattamente alle confraternite o scuole anteriori dell'India. La
Cina conobbe il buddhismo quand'esso aveva ormai assunto una fisionomia completa
e definitiva; non bisogna però dimenticare che il buddhismo non fu portato in
Cina in modo ordinato e organico, ma venne introdotto disordinatamente e in
periodi diversi, secondo l'arbitrio dei pellegrini e dei traduttori e non
secondo l'ordine in cui era stato elaborato. I testi sacri portati a conoscenza
dei cinesi dal II al X sec. assunsero valore diverso da quello che avevano nel
loro ambiente originario, poiché furono interpretati isolatamente e in maniera
frammentaria, in ambienti disparati, più o meno simpatizzanti col taoismo.
Il problema più importante per l'anima indiana (come sottrarsi alla
trasmigrazione) e la soluzione proposta dal buddhismo (il nirvana) non potevano
essere compresi e apprezzati negli altri paesi come lo erano stati in India. Il
buddhismo originario cercava la liberazione dal ciclo delle esistenze; quello
cinese si propone la ricerca della felicità.
Diamo ora un elenco delle principali scuole buddhiste cinesi, alcune delle quali
hanno un carattere spiccatamente originale.
La scuola della terra pura: si basa su un ciclo di sutra, diffuso in Cina
soprattutto dal traduttore Kumarajiva del V sec.). Si ispira alla figura
di un buddha mahayana forse di origine iranica, Amitabha ("Luce senza limiti"),
che presiede al paradiso occidentale (sukhavati o terra pura) le cui attrattive
esercitarono profonda suggestione sui fedeli dell'Estremo Oriente. La setta,
basata quasi solamente su forme rituali, indicava nella devozione popolare la
via della salvezza.
La scuola ch'an (giapponese zen) ovvero del dhyana, "concentrazione": tra il 520
e il 530, Bodhidharma sarebbe venuto dall'India per predicare questa dottrina in
Cina. Lo ch'an si diffuse poi grandemente sotto i T'ang ed ebbe nel sesto
patriarca cinese, Hui-neng, la sua figura più significativa.
La scuola del t'ien-t'ai (giapponese tendai): dalla seconda metà del VI sec. ai
nostri giorni essa conobbe costante evoluzione, conciliando lo studio con la
meditazione e conservando un buddhismo molto puro, che non esclude elementi
idealistici e realistici.
La scuola del vinaya: risale al VII sec. e dà più importanza alla disciplina
pratica che alla fede e alla conoscenza.
La scuola tantrica o esoterica: comune alla Cina e al Tibet a partire dall'VIII
sec., raccolse tutti gli elementi più complessi della religiosità indù ed esaltò
ogni forma di magia.
Il buddhismo giapponese
Si ritiene che il buddhismo sia stato introdotto ufficialmente in Giappone nel
522, quando monaci coreani vi portarono traduzioni cinesi di libri canonici (sutra).
Gli inizi della nuova religione furono difficili per l'ostilità incontrata a
corte da parte di due potenti famiglie sacerdotali: i Nakatomi e i Mononobe. Ma
un'altra grande famiglia rivale, quella dei Soga, contribuì all'affermazione
della religione importata. Un principe reggente della casa imperiale, Shotoku
Taishi, per primo comprese l'immensa superiorità morale e intellettuale del
buddhismo sulla religione nazionale (shinto), e alla fine del VI sec. fece
costruire numerosi templi, tra i quali il celebre Horyuji presso Nara. Verso la
metà del VII sec., periodo in cui il Giappone intrecciò rapporti con la Cina
(precedentemente il Giappone era, nel campo culturale, tributario dei regni
coreani), il buddhismo, diffusosi con sorprendente rapidità, era all'apogeo
della propria influenza temporale; a Nara, la nuova capitale, fu inaugurata una
gigantesca statua del Buddha, il celebre Daibutsu. In quel periodo esistevano in
Giappone sei scuole buddhiste, tre del buddhismo mahayana ("grande veicolo") e
tre del theravada ("piccolo veicolo"), differenziate solo per i mezzi con cui
perseguivano la ricerca metafisica dell'essere. Durante tutto il periodo Nara
(710-794) il buddhismo giapponese si era diffuso solamente nell'ambiente,
relativamente limitato, dei letterati, e soltanto alla fine dell'VIII sec.
apparvero, con le sette tendai e shingon, dottrine di carattere più
specificamente nazionale e popolare; un tentativo di sincretismo religioso venne
attuato inoltre dalla scuola denominata ryobu-shinto, che si proponeva di
conciliare il buddhismo con l'antico culto indigeno dello shinto. Accanto a
queste sette ufficialmente riconosciute si sviluppò anche un buddhismo popolare
e individualista, attorno al culto di Amida, corrispondente al cinese Amitabha.
Alla fine del XIIsec. apparve in Giappone una dottrina nettamente originale, il
buddhismo zen (cinese ch'an), che per la sua pratica semplicità e per l'assenza
di dogma ottenne immediato favore presso la casta militare dei samurai e
resistette vittoriosamente alla crisi provocata alla fine del XVI sec.
dall'apparire del cattolicesimo. Sotto lo shogunato dei Tokugawa (1600-1868) il
buddhismo fu oscurato da una rinnovata simpatia per il confucianesimo; un'altra
crisi subì dopo l'apertura all'Occidente avvenuta nel secolo scorso, in seguito
alla quale il governo giapponese tentò di ristabilire tra il popolo la vecchia
religione nazionale dello shinto.
IL buddhismo nel mondo contemporaneo
Il buddhismo
rimane ancora vitale nei paesi dell'Asia orientale, dove conta oltre 300 milioni
di seguaci, per quanto abbia dovuto affrontare, quale conseguenza del rapido
processo di occidentalizzazione, alcune delle istanze tipiche di una società
moderna: alcuni monaci, infatti, si sono impegnati in prima persona in progetti
volti a migliorare la condizione delle classi più umili. La loro attività ha
l'esplicito fine di smentire le accuse di quanti considerano il buddhismo una
fede essenzialmente passiva che si mostra insensibile alle miserie dell'umanità,
considerate parte di un destino ineluttabile. Una conferma significativa di
questo mutato atteggiamento si è verificata fin dal 1956 in India, dove il
numero dei fedeli era costantemente diminuito fin dal XII secolo, con la
conversione di oltre tre milioni di individui appartenenti alla casta più bassa
della tradizione induista, quella dei cosiddetti "intoccabili".
Un'indicazione, anche di massima, sul numero dei buddhisti esistenti nel mondo è
impossibile per diverse ragioni: il buddhismo manca per lo più di organizzazioni
che impongano ai fedeli determinati obblighi di culto (come il battesimo,
l'eucaristia pasquale o la messa settimanale nel cattolicesimo); quando anche
questi riti esistono essi sono difficilmente paragonabili, agli effetti
statistici, con quelli di altre denominazioni religiose, interne o esterne al
buddhismo; molti paesi con popolazione buddhista non effettuano, per diverse
ragioni, censimenti a carattere religioso; l'avvento di un regime comunista in
alcuni paesi a carattere tradizionalmente buddhista ha complicato ulteriormente
il computo. In linea di massima si può raccogliere qualche indicazione dividendo
i buddhisti del mondo in quattro categorie:
1. Buddhisti della confessione hinayana o theravada. In questo caso il buddhismo
costituisce praticamente la fede della totalità della popolazione o della
comunità etnica di maggioranza.
2. Buddhisti della confessione mahayana in paesi non comunisti e non democratici. I dati sono in
questo caso incerti soprattutto perché i fedeli sono in genere anche fedeli di
altre forme religiose o filosofico-religiose (shinto, taoismo, confucianesimo,
ecc.).
3. Buddhisti della confessione mahayana in paesi comunisti o non democratici. Ai
problemi riguardanti il caso precedente si aggiungono le difficoltà di
valutazione delle conseguenze di mutamento del regime politico ed è quindi
opportuno fare riferimento alla situazione prebellica, evidentemente non
attuale.
4. Buddhisti dei paesi in cui esistono piccoli gruppi di minoranza,
testimonianza o di un'antica diffusione oppure di recenti immigrazioni.