IL "PRIMATO DELLA STABILITA' POLITICA"

Recentemente, la Cina e' entrata in una "nuova fase" della repressione, conseguente al cosiddetto "Primato della Stabilita' Politica". Introdotto nel 1994, questo concetto esprime il credo che la stabilita' politica sia una pre-condizione necessaria per uno sviluppo economico continuativo. E' da ricordare infatti che la Cina sta vivendo un periodo critico della sua storia economica. Il PIL aumenta di circa il 13% all'anno, e nel 1995 si e' registrato un aumento del 50% delle dispute lavorative arbitrate, compresi scioperi e rallentamenti della produzione, per un totale di 12358. L'inflazione ha sfondato nel settembre '95 il tetto del 27%, e i conti con l'estero sono in rosso, dato che a fronte di un'importazione di circa 120 miliardi di dollari, la Cina ha esportato per soli 115 miliardi.
Uno sviluppo economico cosi' rapido fa della Cina un mercato molto appetibile per gli investitori stranieri, che riversano ingenti capitali (22.7 miliardi di dollari nei primi nove mesi del 95, circa il 49% in piu' rispetto all'anno precedente) e che spesso mantengono i loro capitali in moneta locale invece che trasformarli in "moneta forte" e favorendo cosi' il cambio della moneta cinese rispetto al dollaro. Dal punto di vista sociale, un cosi' forte sviluppo economico rischia di incrinare gli equilibri sociali e aumentare il divario tra le classi sociali, tra il "centro" industriale e finanziario e la "periferia" contadina. Uno sviluppo cosi' veloce ha comportato anche un sostanziale aumento della criminalita' e della corruzione, fenomeni a cui il governo cinese, fedele al principio sopra elencato di "mantenere la stabilita", tenta di dare una risposta aumentando la repressione nei confronti dei dissidenti, degli oppositori e di qualunque altra forma di movimento percepita come un pericolo per la stabilita'. Da questi concetti prende il via l'ondata di arresti che ha colpito esponenti di punta del dissenso e la messa al bando di attivita' che potessero danneggiare la sicurezza dello stato.
Per 800 milioni di contadini che vivono con 270 dollari l'anno ci sono cento milioni di ricchi delle zone costiere che navigano ad una media di 2500 dollari. Altri trecento milioni di cinesi sono nel mezzo. La regione più sviluppata è il Guangdong, la più arretrata il Qinghai.
Il 90 per cento dei lavoratori cinesi è ancora impiegato in imprese pubbliche. La recessione che sta colpendo l'economia mondiale obbligherà i vertici cinesi a scelte drastiche. Si temono ondate di licenziamenti in tutti i settori.
                                                                                       I numeri della Cina
L'economia cinese sembra in buona salute. Il prodotto interno lordo è salito del 7,8 per cento nei primi sette mesi del 2001 e le riserve di valuta ammontano a 190 miliardi di dollari (crescita di 24 miliardi di dollari nell'anno in corso). Da quattro anni Pechino ha aumentato la pressione fiscale, ma il rapporto debito/prodotto interno lordo è comunque sotto il 15 per cento. Prima ancora dell'ingresso nel Wto la Cina ha abbassato le barriere doganali dal 43 per cento del 1992 al 17 per cento del 1997, assorbendo 225 miliardi di dollari di importazioni nel 2000. Mentre in tutta l'Asia le esportazioni sono calo, per la Cina sono cresciute dell'8,7 per cento, proiettando Pechino al settimo posto nel mondo (dopo Canada, Regno Unito, Francia, Giappone, Germania e Usa) e al primo dei Paesi non industrializzati. Negli utlimi vent'anni il Pil è cresciuto a una media del 9 per cento ogni anno. L'ingresso nel Wto dovrebbe aggiungere un altro 3 per cento nei prossimi dieci.
                                                                                             La sfida per il Partito Comunista
Nell'inverno 2002-2003 il Partito comunista rinnoverà il 60 per cento dei suoi vertici. Usciranno di scena i settantenni come il presidente Jiang Zemini e il premier Zhu Rongji. Il presidente designato, il 58enne Hu Jintao dovrà affrontare l'integrazione internazionale. Con l'apertura in economia arriveranno anche le richieste di apertura in campo politico. Bisognerà vedere se il Partito comunista resisterà al cambiamento o collasserà.

                                                                                              Amici nemici
Durante la Guerra Fredda gli Usa guardavano alla Cina come freno all'espansionismo sovietico. Da dieci anni i rapporti politici tra Cina e Usa sono altalenanti. Sfiorata una gravissima crisi diplomatica nel maggio 1999, quando l’ambasciata cinese a Belgrado è stata colpita da missili sganciati da aerei della Nato durante la crisi del Kosovo. Nel novembre 1999 Cina e Stati Uniti firmano a sorpresa uno storico accordo che apre il mercato cinese alle merci statunitensi. Nell'aprile 2001 un aereo spia Usa è intercettato e costretto ad atterrare in territorio cinese. Pechino ne approfitta per saccheggiare informazioni militari preziosissime. Per settimane Cina e Usa si scambiano accuse pesanti. Dietro l'incidente c'è una chiara rivalità per l'egemonia politica ed economica nel Pacifico.
                                                                  La Cina dopo l'11 settembre
La Cina ha scelto di giocare a carte scoperte. Gli Usa, nell'attacco all'Afghanistan, hanno bisogno dell'aiuto o per lo meno della non interferenza di Pechino, che nella regione ha interessi notevoli. Il presidente
Jiang Zemin ha manifestato subito solidarietà agli Usa e nel giro di poche settimane si è arrivato allo storico accordo di Shanghai. Ma il sostegno della Cina non è gratis.Pechino ha chiuso la frontiera con l'Afghanistan, impedendo a Bin Laden di scappare nello Xinjiang. In cambio ha ora mano libera in Tibet, nello stesso Xinjiang e su Taiwan. Gli Usa non possono più ergersi a paladini dei diritti dei tibetani. Tantomeno possono fare la voce grossa sulle manovre militari con cui Pechino minaccia ciclicamente Taiwan. 

                                                          Il nuovo segretario del PCC Hu Jintao
Tutto lascia pensare che la linea del nuovo segretario
Hu Jintao sarà ispirata alla massima continuità politica. Ma il gigante cinese proseguirà ugualmente sulla strada delle riforme economiche

                                                                                 Perché Pechino appoggia gli Usa
La Cina non vuole instabilità nell'Asia centrale. Nel maggio 2001 a Shanghai ha firmato un'intesa antiterrorismo con Russia, Tagikistan, Uzbekistan, Kirghizistan e Kazakistan. La paura di Pechino è che gli abitanti dello Xinjiang (gli Uighuri, popolazione turcofona) si stacchino dalla Cina per dar vita allo stato indipendente del Turkestan Orientale. Si tratta di un progetto concreto, sostenuto dalla rete di Bin Laden. Per fermarlo Pechino ha dato vita ad una propria geopolitica mediorientale. Un comportamento da superpotenza che si sposa con gli interessi delle repubbliche ex sovietiche dell'Asia Centrale di fermare l'estremismo islamico. Il governo del Kazakistan, in particolare, è attivissimo nella caccia alle formazioni legate a Bin Laden.