NDUISMO
La religione
nazionale Indiana più diffusa è l'induismo, che trae la sua origine dall'antico vedismo,
dai Veda, gli antichi libri sacri e sapienziali; il culto si è però evoluto in
molteplici forme diverse, e ciò è dovuto alla grande libertà interpretativa che
la filosofia induista lascia ai suoi cultori. I Veda sarebbero stati elaborati
in un'età anteriore alla storia, in un tempo in cui si aveva una capacità
sapienziale di tipo non razionale, ma una visione della verità totale nella sua
essenza e completa nella sua molteplicità. I lontani antenati formularono la
verità in brahma, che significa contemporaneamente respiro, vita e parola, e i
cantori fissarono quella comprensione intatta della verità nei libri dei Veda,
trasmessi fino ai giorni nostri con una fedeltà di cui non è stata capace alcuna
altra tradizione manoscritta: gli induisti sanno che nulla può inficiare né
invalidare la verità contenuta in questi inni. Per quanto riguarda
l'interpretazione di essi, però, i maestri di ogni tempo hanno sempre asserito
che il metodo da loro insegnato non poteva essere in alcun modo considerato
l'unico valido, che anzi non solo una pratica diversa, ma anche una concezione
opposta di misteri sostanziali fondamentali, quali immanentismo, panpsichismo,
divinità dell'uomo, ecc., costituisce una via altrettanto valida per il culto
della verità: da ciò è derivata la capacità di tolleranza e di convivenza di
credenze diverse che caratterizza l'induismo. Gli altri gruppi religiosi più
importanti sono i Gianisti, i Buddisti, che ebbero grande rilevanza in passato,
i sikh, che vivono in confederazione nel Punjab orientale e sono in continuo
conflitto con gli induisti; la religione islamica, che coinvolge oltre l'11%
degli abitanti, è la seconda del paese, significativo infine il cristianesimo,
praticato da circa 8 milioni di persone.
Teoricamente l'induismo continua la religione vedica e il brahmanesimo e, se i
brahmana e i sutra permangono nei testi delle scuole, la tradizione degli
Upanishad è ancora vivace. La lingua dei libri sacri dell'induismo è sempre il
sanscrito, ma un sanscrito modernizzato, fissato nel III secolo a.C. dal
linguista Panini. Oltre ai testi vedici, le principali fonti dell'induismo sono
le seguenti:
• Testi postvedici. Gli Upanishad recenti e soprattutto il Dharmasastra
«Insegnamento sulla legge», comprendente in particolare il celebre testo
conosciuto sotto il nome di Leggi di Manu, che risale agli albori dell'era
cristiana.
• Le epopee. Esse sono costituite dal VI secolo a.C. sullo stesso principio
delle canzoni di gesta o dei grandi cicli germanici, con apporti successivi. Vi
sono tre titoli essenziali:
- il Mahabharata («la grande epopea») racconta la lotta di 5 fratelli,
discendenti da un re mitico (Bharata) e della loro sposa comune Draupadi contro
i loro cugini; è l' Iliade degli Indù. Uno degli eroi del Mahabharata è un semi
dio, Krishna, che tiene ad uno dei 5 fratelli un grande discorso, vero esposto
religioso dell'induismo, che è stato tradotto infinite volte: si tratta della
Bhagavad Gita (il Canto del Beato).
• Il Ramayana
• Testi e tendenze religiose. I Purana («antichità») costituiscono una immensa
produzione leggendaria, religiosa, storica e pratica che si estende nei primi
dodici secoli della nostra era; di solito si isolano 18 raccolte chiamate i
Purana maggiori. I due più famosi sono il Brama-Purana e il Visnu-Purana. I
Tantra («libri») sono dei trattati scritti dal VII secolo della nostra era: i «Tantra»
veri e propri si riferiscono ad un aspetto dell'induismo chiamato il tantrismo
Le sette induiste.
La storia dell'induismo è segnata, fino al VII secolo d.C. circa, da una lunga
rivalità con il buddismo e il giainismo. Nel corso di questi conflitti apparvero
le prime sette che tentavano di presentare ai loro adepti una dottrina e una
mitologia più semplificate o, al contrario, più approfondite in alcuni punti. I
fondatori di sette sono enumerati - a volte in un modo un po' leggendario - in
un'opera recente (che risale al XVII secolo): La Ghirlanda dei Fedeli (Bhakta-Mala).
Le innumerevoli sette dell'induismo si suddividono in due grandi categorie: le
sette visnuite e le sette sivaite (alle quali si ricollega il gruppo dei sakta).
Dominanti tutto il pantheon induista, tre divinità supreme costituiscono una
vera «trinità» (trimurti = le tre forze): Brahma il creatore, Visnu il
conservatore, Siva il distruttore. Il simbolo di questa fondamentale trimurti è
la sillaba sacra formata dalle tre lettere A, U, M. Tutti gli dei della
religione vedica (gli «otto grandi dei»: Surya, Candra, Agni, Yama, Varuna,
Indra, Vayu (il vento) e Kubera (le ricchezze); Mitra, gli Asvin, i Marut e le
divinità secondarie sono conservati, ma passano in secondo piano; Visnu e Siva
hanno assorbito tutto e persino Brahma, fonte e fine di ogni cosa, rimane
estraneo alla mitologia popolare (ha per attributo il pavone, simbolo
dell'intelligenza discriminante; la sua sposa è Sarasvati, dea dell'eloquenza).
VISNU.
• Il Visnu vedico. Divinità minore della religione vedica, Visnu è tuttavia
presentato nel Rig-Veda come l'alleato di Indra e il «salvatore degli dei».
Questi sono combattuti, con successo, dai demoni comandati dal gigante Bali;
Visnu, sotto la forma di un nano, stringe con Bali il seguente patto:
Lo spazio riservato agli dei sarà compreso, gli dice, fra tre dei miei passi;
il resto del mondo ti apparterrà.
Il gigante accetta e Visnu varca il cielo con il suo primo passo, la terra con
il suo secondo passo e gli inferi con il suo terzo passo. Da questo il
soprannome di Visnu: Trivikrama (Visnu dai tre passi).
• Visnu nell'induismo. Il culto di Visnu si sviluppò nelle regioni indiane in
riferimento a due incarnazioni (avatara) già note alla religione vedica: Krisna
e Rama.
Sembra oscura la ragione per cui Visnu sia diventata una figura di primo piano
proprio nella religione induistica, seppur conosciuta dalla letteratura vedica.
É evidente, invece, come il processo storico-religioso indiano abbia favorito
l'accrescere progressivo dell'ascendenza mistica di questa divinità.
Come abbiamo accennato, il culto di Visnu risulta dall'adorazione di Krisna e
Rama. La figura di Krisna va considerata sotto due aspetti: quello mitologico e
quello di un personaggio realmente esistito.
Krisna, dunque, sarebbe stato un principe dei Yadawa, abitatore della regione ad
ovest del fiume Yammà. Dopo la morte, egli sarebbe divenuto oggetto di
venerazione da parte del suo popolo, e sarebbe stato considerato come
incarnazione di Vasudeva, divinità popolare che venne poi identificata con Visnu.
Se consideriamo Krisna sotto l'aspetto mitologico, allora è da ritenersi una
divinità originaria, conosciuta come «mandriano» (Gopàla), adorata da una tribù
di pastori, la quale acquistò in seguito un'importanza fondamentale nel culto
induistico e pervenne ad una popolarità ineguagliabile. Krisna, vivendo insieme
a delle pastorelle che faceva danzare al suono del suo flauto, ne amò più di
mille, ostentando le più raffinate pratiche erotiche. La sua prediletta era
Radha, dal popolo venerata come sua sposa e amante preferita. Krisna morì ormai
vecchio in una leggendaria circostanza: scambiato per una gazzella, fu ferito
mortalmente da una freccia scagliata da un cacciatore, che lo colpì nel tallone,
unico punto vulnerabile del suo corpo. Morto, salì al cielo, dove riprese la
divina sembianza di Krisna.
• Attributi di Visnu nell'induismo. Il dio dimora nel Vaikuntha, in cima al
monte Meru (l'Olimpo dell'induismo), sempre pronto a rispondere alle preghiere
di coloro che gli offrono dei sacrifici.
Egli ha due spose: Lakshmi, dea della bellezza, e Bhumi-devi, dea della terra;
la sua cavalcatura è l'uccello mitico Garuda. Egli ha come attributi la
conchiglia, il disco, la mazza e il loto. Viene rappresentato in genere sotto
forma di un giovane uomo a quattro braccia, con ogni braccio che brandisce uno
dei suoi attributi, o anche steso, mentre riposa su Cesha, il serpente dalle
mille teste.
• Gli avatara di Visnu. Visnu è un dio essenzialmente passivo. La respirazione
di Visnu determina i cicli (kulpa) del mondo. Alla fine di ogni kulpa, il male
trionfa nell'universo.
Allora Visnu esce dalla sua meditazione eterna e si incarna in un uomo, o in un
animale, per lottare contro il male; queste incarnazioni sono chiamate avatara (avatara
= «discesa»). Può anche delegare soltanto una parte di se stesso: è il vyuha o
«spiegamento parziale».
I testi classici citano dieci avatara di Visnu, ma l'immaginazione popolare ne
ha proposti molti di più.
Rama, sua moglie Sita e suo fratello Lakshmana subiscono un esilio di 14 anni
nel corso del quale Sita è rapita dal re demone di Ceylon, Ravana, che, in
seguito ad una lunga guerra, è vinto dall'eroe Rama, depositario dalla nascita
di metà della potenza divina di Visnu. Dopo aver recuperato la moglie, l'eroe la
ripudia perché l'opinione pubblica l'accusava di essere stata sedotta da Ravana;
Sita si rifugia in un monastero e dà alla luce due bambini. Quando questi
raggiungono l'età di 15 anni, Sita muore e Rama la segue nella morte.
SIVA.
• Il grande dio (Mahadeva). Visnu era il conservatore della creazione; Siva ne è
il distruttore: egli è il dio terribile e porta a volte il nome vedico di Ruda
(«il Terribile»).
Egli è anche Hara («Colui che ottiene», cioè il tempo, o Bharava: «lo Spavento»
dalle 64 varietà). Egli soggiorna in un cielo chiamato Kailasa e vive quasi
nudo, Poiché è il primo asceta (il primo yogi). Viene rappresentato generalmente
con dei capelli raccolti e stretti alla sommità del capo, la fronte solcata da
tre linee orizzontali; egli ha a volte 5 volti e 4 occhi e porta un tridente,
una mazza, un'ascia o un fulmine. Egli sfoggia spesso una collana di teste di
morti e braccialetti di serpenti.
• Il dio benefico. Poiché la distruzione è la condizione di ogni creazione, Siva
possiede anche un aspetto positivo. A questo titolo, l'episodio più famoso della
sua vita è quello della burrificazione del mare di latte. Essendo stati gli dei
vinti dai demoni (gli Asura), Brahma consigliò loro di consultare Visnu («il
migliore degli dei»): costui ristabilì la pace fra i combattenti e promise loro
di aiutarli a conquistare la bevanda dell'immortalità, l'amrita.
Per questo si procedette alla burrificazione del mare di latte, al fine di
portare alla superficie la coppa contenente l'amrita. Si scelse come bastone per
battere il latte il monte Mandara attorno al quale si avvolse il serpente Vasuki;
per calare il bastone in fondo al mare di latte, Visnu si trasformò in una
gigantesca tartaruga marina e poi si cominciò a tirare Vasuki, i demoni dalla
coda, e gli dei dalla testa. Ma, sotto l'effetto di questo scuotimento, Vasuki
vomitò un torrente di veleno che rischiava di annientare gli dei e gli uomini;
Siva ricevette il fiotto di veleno nella sua mano e lo bevve, conservandone come
traccia solo una bruciatura bluastra alla gola (da ciò il suo soprannome di
Nilakantha : «gola blu»). Nel corso della burrificazione del mare di latte
sorsero l'elefante bianco Airavata, cavalcatura di Indra, il rubino Kaustubha
che orna il petto di Visnu, la vacca Kamadhenu, che rappresenta l'abbondanza, le
Apsara, divine cortigiane, la bella Lakshmi ed infine il dio negro Dhavantari,
portatore della coppa di amrita.
Siva attenuò con la sua capigliatura la caduta del Gange, quando questo fiume
cadde dal cielo sulla terra (episodio della «discesa del Gange»); ed è lui che,
vittorioso del demone Tripura, eseguì sul suo cadavere una danza selvaggia: la
Tandava. La «danza di Siva» rappresenta le 5 attività divine: creazione,
conservazione, distruzione dell'universo, incarnazione e liberazione delle
anime. Per questo Siva si chiama anche «il dio danzante» (Nataraja).
• Il dio sessuale. Siva è anche il dio della fecondità; il suo simbolo è il
fallo (linga) o ancora il fallo e l'organo sessuale femminile (lo yoni), che ha
forma simile ad una specie di crogiolo. La sua cavalcatura è il toro bianco
Nandin. Tutti i templi sivaiti possiedono una linga.
• Il dio asceta. Siva è il primo dei saggi (da ciò la modestia del suo
abbigliamento). Un giorno, mentre errava in una foresta, dopo aver tagliato la
quinta testa di Brahma al quale egli rimproverava con indignazione di desiderare
incestuosamente la propria figlia, egli turbò con la sua bellezza le mogli degli
eremiti forestieri. Costoro lanciarono contro di lui successivamente una tigre,
un'antilope, un'ascia arroventata con il fuoco: ma il dio uccise la tigre,
immobilizzò l'antilope e afferrò l'ascia al volo (questo episodio si ritrova in
alcune rappresentazioni classiche di Siva).
• Le emanazioni di Siva. Siva manifesta anche la sua potenza per mezzo del suo
sakti, cioè della sua energia, personificata in una divinità femminile. Abbiamo
così: Parvati, la figlia dell'Himalaya, Kalì la Nera (distruttrice), Bhairavi,
Durga l'inaccessibile, Uma, la benefattrice, Sati, la sposa fedele si gettò nel
fuoco sacrificale acceso da suo padre Daksha perché questi aveva escluso Siva
dalle sue adorazioni (Sati rappresenta così le vedove che si gettavano sul rogo
che consumava il cadavere del loro sposo e che si chiamavano sati).
• Ganesa è il figlio che Parvati fabbricò con la rugiada del suo corpo e che
impediva l'accesso ai suoi appartamenti; egli si scontra con Siva e tiene in
scacco gli dei e i demoni che assistono quest'ultimo. Visnu gli invia la bella
Maya (l'illusione) che attira l'attenzione del valoroso Ganesa, al quale gli dei
tagliano la testa. Per calmare sua madre Parvati, Siva risuscita Ganesa e
sostituisce la sua testa con quella di un elefante; egli ne farà in seguito - in
ragione della sua audacia - il capo delle sue truppe. Ganesa è considerato anche
il dio dell'intelligenza; egli avrebbe scritto il Mahabharata con una delle sue
zanne.
I sei darsana.
Un darsana è un «cammino», una «via», che conduce alla realtà assoluta e alla
liberazione; si traduce a volte abusivamente questo termine con «sistema
filosofico».
I darsana, 6 di numero, sono sviluppati in numerosi testi sulle origini dei
quali siamo poco informati; la maggior parte di essi risale al periodo
post-vedico; cioè le loro origini sono contemporanee al
Buddismo e al
Giainismo.
Il pensiero contemporaneo indù è ancora fortemente ispirato dai darsana.
Vi sono, nel pensiero religioso indù, due grandi tendenze:
- la prima fa della religione una procedura: la salvezza - cioè la liberazione
dalle reincarnazioni - si ottiene rispettando il rituale, le regole delle caste,
il dharma . Pregare gli dei, offrire loro sacrifici, rispettare la gerarchia e i
bramini, questo è il compito dell'uomo; la salvezza verrà dall'alto. A questa
tendenza appartengono: la religione vedica, religione del sacrificio; il
brahmanesimo, religione dell'osservanza del dharma; l'induismo, specialmente
sotto le sue forme visnuite: Visnu è il dio che scende (avatara) fra gli uomini
per salvarli;
- La seconda tendenza fa della religione uno sforzo individuale: la salvezza non
è questione di rituale, ma trionfo della volontà umana; non si tratta di far
discendere un dio fra gli uomini, ma di elevare l'uomo alla dignità divina, di
realizzare ciò che vi è in noi di spirituale, dominando e controllando
l'ostacolo corporeo.
Forse questo sforzo per unirsi all'assoluto ha visto la luce nel terzo millennio
a.C. (effigie di Siva ritrovata a Mohenjo-daro); ma è certo che a questa
tendenza appartengono: il giainismo, il buddismo, l'induismo (sotto le sue forme
sivaite: Siva è il primo «yogi»), lo yoga e il tantrismo.
Lo yoga.
• Origine e significato dello yoga. La parola yoga significa in sanscrito
«congiunzione», «unione»; lo yogi (al femminile: yogini) è colui che ha
effettuato questa congiunzione. Nel nostro mondo occidentale, si usa
correntemente la parola yoga per designare una specie di ginnastica che tende al
rilassamento: è un uso erroneo del termine e non ha quasi rapporto con questo
sistema filosofico, uno dei sei darsana, le cui origini è da ricercare nelle
pratiche psicosomatiche anteriori alle invasioni ariane (forse all'epoca di
Mohenjo-daro, nel 3º millennio a.C.). Le più antiche raccolte riguardanti lo
yoga risalgono soltanto al V secolo d.C.; vengono attribuite ad un saggio
chiamato Patanjali; i primi commentari dei sutra dello yoga datano dall'VIII o
dal IX secolo d.C.
• Cos'è uno yogi? Lo yoga non è né una religione né un rituale; è una pratica,
un addestramento, una mentalità.
Disciplina autonoma, lo yoga non è affiancato ad alcuna regola monastica o
sacerdotale. Lo yogi, benchè viva in mezzo ai suoi simili, non è un essere
sociale; non ha compiacimento né per se stesso né per altri.
Secondo una formula di P. Masson-Ourssel, non vi è in esso niente che assomigli
allo spirito di cordata di un alpinista. É dunque un solitario, o piuttosto un
anarchico metafisico. Sarebbe un errore, malgrado tutto, farne un asceta puro e
semplice.
Egli non assomiglia all'eremita cristiano che mortifica il suo corpo per espiare
i suoi peccati, né al mistico che tende al suicidio metafisico. Egli non
rinuncia all'esercizio delle funzioni vitali, ma al contrario: elevando la sua
vita fisiologica ad un livello di altissima coscienza, egli mobilita l'energia
interna che gli fa raggiungere un grado superiore di sensibilità, considerato da
lui come la liberazione dal karman.
Gli yogi praticano così gli otto mezzi della liberazione: soppressione
dell'attività, esercizi di ginnastica che portano ad adottare posizioni speciali
(questa parte dello yoga è stata volgarizzata, non senza snobismo, nel mondo
occidentale), controllo della respirazione, esercizi respiratori particolari,
disinteresse per gli oggetti esteriori, annullamento dell'intelletto,
concentrazione e contemplazione estatica.
Gli yogi non devono essere confusi con i fachiri (dall'arabo faqr: «povero»),
che sono dei mendicanti professionisti che utilizzano, per raggiungere i loro
scopi, procedimenti che colpiscono l'immaginazione del pubblico.
L'Occidente scoprì per la prima volta gli yogi all'epoca delle conquiste di
Alessandro: i Greci li chiamarono allora i «gimnosofisti» (i saggi nudi).
Il Tantrismo.
Viene chiamata così una forma dell'induismo che si basa essenzialmente sui
Tantra (i Libri) composti fra l'VIII e il XV secolo della nostra era. Si dà come
scopo la salvezza mediante la conoscenza esoterica delle leggi della natura .
I 64 tantra sono soprattutto dei manuali di magia e di occultismo; essi
descrivono lettere, suoni, formule, incantesimi «miracolosi», capaci di agire
sugli uomini e sulle cose; essi insistono in particolare sull'unione mistica
della divinità con se stessa, accoppiamento dal quale è nato il mondo. Numerosi
dipinti rappresentano questa unione mistica sotto la forma di un uomo e di una
donna praticanti il coito (maithuna); sarebbe un controsenso interpretare queste
opere come rappresentazioni coscientemente erotiche.
Il «tantrismo di destra» distingue nel corpo umano 6 centri di energia (i cakra)
raffigurati da fiori di loto; il centro inferiore è la sede della dea serpente
Kundalini, simbolo dell'energia cosmica. Con un metodo ispirato dallo yoga, il
saggio «sveglia Kundalini» e la fa arrivare al centro più elevato, sede di Siva;
a questo livello, si opera l'unione mistica che riempie il saggio di una
felicità indicibile (questa pratica, il laya-yoga o yoga di assorbimento, è una
forma simbolica dell'attività sessuale).
Il «tantrismo di sinistra» (vamacara) non utilizza lo yoga. Gli iniziati
partecipano per prima cosa ad un'orgia sessuale collettiva al fine di provare la
vanità delle passioni e di sfuggire alla loro tirannia. Le loro pratiche
assomigliano a quelle dei sakta.
• Il bramasamaj (la chiesa indù unitaria) è un movimento fondato nel 1828 da Ram
Mohu Rai (1772-1833), che ha tentato di sintetizzare l'induismo, il buddismo,
l'islamismo e il cristianesimo; quest'uomo assai colto ha tradotto in inglese
numerosi Upanishad. Egli si è urtato con le missioni cristiane e con l'ostilità
dei suoi compatrioti; morì in Inghilterra nel 1833. Fra i suoi discepoli
citiamo: il nonno e il padre del poeta Rabindranath Tagore e Keshub Chander Sen
(1838-1884) che trasformò il movimento in Adisamaj (la Società di origine);
Keshub Chander Sen proponeva un monoteismo astratto e una liturgia presa dalle
grandi religioni del mondo.
Nella stessa «linea sintetica» si pongono: Mahadev Govind Ranade (nato a Bombay,
1842-1901), R.G.Bhandarkar (1837-1925) e Gokhale (1863-1915).
• L'Aryasamaj (la società degli Ariani) è un movimento nazionalistico e popolare
creato nel 1875 dal bramino Dayananda Sarasvati (1824-1883), che apparteneva ad
una comunità sankariana; il suo scopo era il ritorno alla pura tradizione vedica.
• Sri Ramakrishna (1836-1886), nato vicino a Calcutta, fu un bramino mistico che
tentò una sintesi religiosa; praticò inoltre specialmente lo yoga e il tantrismo.
Il suo discepolo, lo swami Vivekananda (1862-1902), fece conoscere le dottrine
di Ramakrishna con il suo fervore e la sua eloquenza (partecipò al congresso
internazionale delle religioni a Chicago nel 1893). Ramakrishna e Vivekananda
hanno orientato la filosofia del Vedanta verso l'Occidente; la «missione
Ramakrishna» (fondata nel 1877) è un movimento culturale, filantropico ed
internazionale il cui centro è a Belur, vicino a Calcutta. Essa ha aperto dei
monasteri «liberi» ove possono andare a raccogliersi e a dedicarsi alla
contemplazione uomini e donne di tutti i paesi (esempio il monastero di Almora
nell'Himalaya).
Accanto a questi movimenti, bisogna citare , fra i principali nomi dell'induismo
contemporaneo: Aurobindo Ghore - che i suoi discepoli chiamano Sri Aurobindo
(1872-1950), filosofo spiritualista che propone una concezione religiosa del
superuomo (la sua opera più conosciuta è La Vita Divina); Ramana Maharshi
(1879-1950), della regione di Madras, teorico della salvezza mediante il
silenzio, Sivananda (nato nel 1887), fondatore della società della Vita divina e
propagatore dello yoga; Bal Gangadhar Tilak (1856-1920), uomo politico e
commentatore della Bhagavad-Gita; il filosofo Radhakrishnan (nato nel 1888) e il
poeta Rabindranath Tagore (1861-1941).
La vita religiosa indù, intimamente legata alla vita filosofica e alla vita
politica del paese, è rappresentata anche, al momento attuale, da migliaia di
saggi, di «maestri» (termine che traduce indifferentemente le parole: guru, sri,
swami, pandit) , attorno ai quali meditano alcuni discepoli, a volte venuti
dall'Occidente per un ritiro provvisorio o per curiosità turistico-religiosa. In
tutte queste comunità, generalmente situate lontano dalle città, nella foresta o
in montagna, si medita, si studia il Vedanta, si pratica lo yoga, ci si sforza
di raggiungere - e si crede a volte di arrivarci -, mediante la passività
mistica, questa affermazione dello yoga sivaita:
Dallo yoga nasce la conoscenza, dalla conoscenza nasce lo yoga. Per chi possiede
lo yoga e la conoscenza, non vi è nient'altro da ottenere. (Icvaragita, II/41).
Induismo e Islamismo.
La storia dell'India è anche la storia di molte invasioni e penetrazioni
pacifiche nel suo territorio; molti popoli (Greci, Sciiti, Parti, Ebrei, Unni,
Parsi) si succedettero nel corso della storia, ma nessuno di essi produsse
alcuna influenza notevole sul pensiero religioso indiano. Si ebbero invece i
primi ed importanti influssi nel secolo VII d.C., periodo in cui si verificò
l'invasione musulmana, per iniziativa del califfo Omar. Gli Arabi si spinsero
nel secolo XI nell'India settentrionale e nel XIV secolo giunsero fino al Deccan.
Le influenze religiose della penetrazione islamica rappresentarono un momento di
rottura nella dogmatica induistica.
Nel campo più rigidamente religioso, si verificò un rafforzamento delle tendenze
monoteistiche, e presso alcune sette la proibizione dell'uso delle immagini. Nel
campo sociale si ebbe una sempre più crescente opposizione nei confronti del
regime delle caste, favorito dalle predicazioni islamiche dell'uguaglianza. Il
momento più pregnante dell'influenza islamica fu raggiunto col principio,
sancito da Kabir (1440-1518) e da Nanak, dell'identificazione di Allah con Visnu.
Induismo e Cristianesimo.
Il cristianesimo penetrò in India sin dal I secolo, ma solo nel XVI cominciò a
diffondersi per opera dei missionari.
La sua espansione fu più limitata di quella islamica, ma ebbe una maggiore
influenza sul pensiero originale indiano. La religione di Cristo si diffuse tra
le classi inferiori per lo spirito di fratellanza che si ribella al regime
castale. Soltanto però nel XIX secolo, con la dominazione inglese, il
cristianesimo riuscì ad esercitare una maggiore influenza sull'induismo. Si
costituirono quindi alcuni gruppi intorno a diverse tendenze religiose: quella
rappresentata da Ram Mohan Ray, che intendeva conciliare le idee induiste con la
morale cristiana, prese il nome di «Società brahmanica» che si ramificò
successivamente in più gruppi, quello diretto da Sen - che si avvicinò al
cristianesimo - e quello - in contrapposizione - guidato da Tagore, che
lasciando libertà agli adepti, si rivolse a danno della stessa setta.
Dal gruppo del Sen scaturì la «Società brahmanica universale» con un indirizzo
soprattutto filantropico, e la «Società della regola nuova», che si riallacciava
ancor più al cristianesimo. Di contro Svani Dayanada Sarasvati fondò un
movimento teso a riportare l'induismo alla sua primitiva purezza. La sua
missione fu quella di dimostrare che i quattro Veda sono la verità e rispondono
a tutte le esigenza della vita moderna; fondò quindi la «Società ariana» che si
sviluppò soprattutto tra i giovani delle classi più povere per lo spirito
democratico rivolto alla elevazione delle classi inferiori. Tale società si
trovò spesso in conflitto con i musulmani.
Tra le molte altre «società» sorte in India in questo periodo, degna di menzione
è la «Società divina», che si rifaceva al principio materialista ponendo
l'ateismo a fondamento della nuova religione della scienza. Ricordiamo infine,
tra i personaggi più noti di questo paese, Gandhi«il magnanimo», fautore della
resistenza passiva, che procurò al suo popolo la tanto desiderata libertà.
Bhagavad Gita Il canto del Beato Sri Krishna è senza dubbio il Veda più diffuso della dottrina Indu